La storia dello shampoo ribelle
La storia dello shampoo ribelle
La
vita di uno shampoo non è affatto semplice come sembra. Chi
l'avrebbe mai detto, anche “le cose” hanno
una vita propria. “Nascono”, fabbricate all'interno di enormi
aziende, percorrono centinaia di chilometri ammassate le une di
fianco le altre e il rombo
del camion estingue la materialità delle loro
grida, come fiamme,
attraverso l'inquinamento
acustico che pervade le grandi città, per poi finire in un mercato
nero dove vengono separate dalle proprie famiglie, per servire delle
altre; circolo tremendo inventato dagli umani. Questa, riportata
sotto, è la testimonianza del fervore e del
coraggio di uno shampoo che arditamente infrange le unilaterali
pretese dell'homo non
sapiens, at nescius,
malvagio,
stupido, pazzo, bianco, nero, rosso, giallo, finocchio, ravanello,
fagiolo, dopo essere stato spolpato quasi del tutto, vincendo la
causa che ha indirizzato.
Il trucco per trovare idee sta nel convincersi che ogni persona e ogni cosa ha una storia da raccontare. Dico trucco ma intendo in realtà sfida perché è una cosa difficilissima. Il nostro istinto di essere umani, in fin dei conti, è presumere che la maggior parte delle cose non è interessante. […] Filtriamo, classifichiamo, giudichiamo. C'è troppa roba in giro ma se vuoi fare lo scrittore, bisogna che combatti questo istinto ogni giorno. Lo shampoo non è interessante? Bé, accidenti, alla fine deve esserlo”. -Malcom Gladwell
Non
so se mi crederete, viviamo nella cieca certezza che la sola
esistenza riservi a tutti quanti la possibilità di sgranchire la
mente in momenti imperturbabili come la doccia, una dormita
indisturbata, una scopata celestiale, grattarsi il culo e mangiare
cinese.
Anch'io
la pensavo così. Ho lavorato per parecchi anni in veste di avvocato
difensore e ho concesso eloquenti discorsi di denuncia a vite
scandalose che persone di ogni rango avrebbero continuato a condurre
fino alla morte senza il mio capitolare nelle loro vite. Non mi sarei
mai aspettato una svolta dai livelli così sconcertanti nella mia
carriera. Ma ne vale il motivo per cui mi trovo ora qui con voi.
Ricordo
che quel giorno stavo lavorando a un discorso sulla vita indicibile
di una badante portoricana; ero
all'alba del periodo “prendere o lasciare”, un
trentaseienne
in gamba, eretto, aspetto glabro, unghie curate, mani congiunte e
sguardo affabile; parole pungenti come spine, ventiquattrore
rivestita della crudeltà dell'uomo, scarpe lucidate e calzini
stirati da mia moglie. E
un figlio nel suo grembo.
Avevo
già colmato tre pagine di discorso e contestazione, riportato
domande intimidatorie e opposizioni eventuali, quando
la stessa badante (che ora si era trasferita nel mio appartamento e
lavorava per me dopo che
i tentativi di omicidio da parte dei principali erano
stati resi nulli)
picchiò
la mano sulla porta, disse nel
peculiare accento dei portoricani:«Rivato
letera por seniore»,
mi consegnò un involucro dalla forma cilindrica e
scomparve dalla mia vista richiudendosi con
uno scatto la
porta alle spalle.
Senza
distogliere gli occhi dallo schermo del mio portatile, lo sguardo
accigliato e la fronte corrugata, estrassi con
aria assente
il contenuto della busta. E
con uno
scatto ritrassi la mano da ciò che avevo toccato.
Guardavo
stordito
la mano intrisa
di una
sostanza viscida e
dal colore incerto, quando una voce nasale mi fece voltare la testa
in direzione di uno...
shampoo.
Che
mi parlava
in un corretto italiano! Un
miscuglio di preposizioni, soggetti, predicati che mi fu versato
nelle orecchie intendenti,
quasi
da provocare un moto di stizza da parte di Kimberly (sempre la
badante portoricana che stavo strappando alle fauci del suo padrone)
e fornì il nome, l'età e la storia della sua vita ad un
interlocutore che lo guardava non poco disorientato, sfibrato e
con gli occhi fuori dalle orbite.
«Quella
che lei sta ammirando con sconcerto, signore, in caso si stesse
domandando cosa sia, è il corrispondente del sangue umano. Secondo
le consuetudini degli umani è applicabile sulla sua testa ed è
sfruttato per l'igiene dei follicoli
lunghi. In
pratica le ho sporcato la mano con il mio sangue e le sto chiedendo
di impedire che ciò continui.»
Un
esilarante colpo di tosse, sketch per i più avidi di risate. Uno
shampoo che tossisce, perdio! No, partiamo dalle origini: uno shampoo
che mi sta parlando! Come per i cosiddetti
“normali”, lo
stesso avviene con lo shampoo parlante;
il colpo di tosse lo scuote interamente, arrochito, produce
un'aeroflotta di batteri e spore. Sembra
solo aver perso per strada un dettaglio sottile sottile. Mano
davanti, grazie.
Mi
scusi.
E
si scusa pure! Solo noi “umani” abbiamo abbandonato l'elemosina
di scuse.
Ai
miei tempi...si era mendicanti di perdono e ci si aggrappava al
padrone che ci manganellava la zucca e la trasformava in una
decorazione festosa.
Ora
siamo più indietro degli shampoo. Togliamo le ore a Lettere e
ficchiamoci dentro qualche ora in cui shampoo loquaci terranno
lezioni di cortesia a noi brontoloni screanzati.
Eeeeh,
ci rubano il lavoro! Tornatevene dal vostro supermercato! Qui non vi
vogliamo! E' in atto un'invasione di clan-des-tinti!
Aveva ragione Salvini quando diceva che
gli shampoo zingati
invadevano senza controllo il territorio capelluto!
Immaginavo
una cosa del genere da parte dei miei cari compatrioti. Italiani...
«Il
mio nome è stato coniato come “Pantene pro-v 2in1 SHAMPOO+BALSAMO
LINEA CLASSICA pro-v capelli visibilmente sani dopo 1 solo lavaggio
tecnologia clinicamente testata”»
Piacere...
«Contengo
soli 250 millimetri di sangue
alla nascita e zero millimetri quando verrò spolpato interamente,
morendo per totale emorragia.
E
la mia salma stremata verrà gettata in un'unica fossa comune insieme
ad altri miei simili come
ninnoli abbandonati
- libero
banchetto, spettacolo agghiacciante, offerto a insetti e
microrganismi -
che quotidianamente viene vuotata,
sfollata,
per ricominciare con una nuova, effimera ospitalità. Mi
sono rivolto a lei nell'appresa certezza che, benché membro homo non
sapiens non sapiens, mi può aiutare.
«Fin
dal giorno in cui sono nato sono stato propinato di racconti
agghiaccianti. Non c'è stato verso che i miei ispiratori, sentinelle
della mia nascita e dei miei primi minuti, rinnovassero
l'assortimento
per l'esposizione
orale di testimonianze. Mi
raccontavano nella semioscurità del furgone di circoli viziosi,
contrabbandi di ciabatte trivellate alla nascita e che si chiamavano
“croc”, o qualcosa di simile, perché il
nome
rimembrava lo spezzarsi dei
loro arti e delle loro ossa;
mi hanno raccontato che molto probabilmente il nostro sangue ha
dato di matto al sistema nervoso umano, a tal punto che gli umani si
cospargono le mani di liquidi fetidi e monocolore; che persino tra di
loro non si sopportano e che
cercano
di farsi fuori a vicenda senza mai venire alle mani, perché usano
altre specie
di
individui
simili a noi,
uniche a poter finalmente gustarsi la morte dei loro sfruttatori; che
fanno del male una tribuna di idee e un sensale
di
fama; che saremmo tutti morti, fatti a brandelli e che era stato
bello fare la mia conoscenza. Che
mi prospettava la vita?
«Mi
hanno preparato allo stadio intermedio di vita e di morte: lo
spappolamento
a
intervalli che ci languisce lentamente
uno
ad uno e ci lascia perire come
bastardi diseredati
in
uno stato di deficienza, la perdita di frammenti nervosi, il
prosciugamento dell'anima. E io che credevo che un giorno mi sarei
laureato, avrei trovato uno shampoo femmina, avrei consumato con lei
la mia verginità e il mio desiderio, e avremmo scodellato tanti
shampoo in monodose.
Che
è quello che fate voi, più o meno. Mi sbaglio?»
Scossi
la testa. Ormai avevo preso parte di questa bizzarra conversazione.
«Ho
concluso
la parte personale, paradossalmente sconclusionata. Ora
ha inizio la seconda parte, con fatti e solo fatti. Non so per quanto
mi dilungherò: la mia vita merita di essere raccontata almeno ad
uno di voi, per farvi capire il mondo da un'altra prospettiva che
voi, bene o male, ignorate. Niente
pause per andare in bagno, mi ha sentito? Qui
si fa più schiettamente, con un effetto che equivale a quello di una
guancia arrossata da uno schiaffo. Uno schiaffo di fatti che la
lascerà stordito.»
Le
mie orecchie lo ghermivano nella sua materialità tonda e liscia.
Eravamo solo
agli antipasti. Non c'era modo di accelerare le cose. Il silenzio che
era sceso conficcava le sue unghie acuminate nella mia testa e mi
inchiodava alla sedia. Qualcuno
doveva aver tirato giù la leva di accensione della mia mente: avevo
scordato chi ero, buttato in un angolo calzini e il discorso,
dimenticato completamente Kimberly e Cecilia, abbandonato l'uso di
deglutire e permesso che un filo argentato di saliva pendesse da un
lato della mia bocca e si incollasse alla mia guancia poco
lanuginosa. Ero
nudo davanti a Dio.
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